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TESTIMONIANZE

STORIE DA QUARANTENA

Tornare a un nuovo lockdown, dopo i due mesi terribili di primavera, non sarà facile. Non ero letteralmente intrappolato: andavo a fare la spesa e quando capitava andavo al lavoro, recluso non lo sono mai stato davvero.

Ma mi sento intrappolato. In un ambiente come quello di casa mia sarò nuovamente privato della libertà di essere me stesso al cento per cento.

Vivere con la mia famiglia 24 ore su 24, 7 giorni su 7, da omosessuale non dichiarato, è l’impresa più ardua e la prova più estrema di recitazione che io abbia mai affrontato. Non è facile fingere di essere un’altra persona, soprattutto quando ti vedi privato di quegli spazi che ti permettevano di respirare un po’ di libertà: i locali gay, i bar, le associazioni, gli eventi culturali, i Pride.

Mi mancano le serate al Caffè Teatro il giovedì – tra l’altro le stavo apprezzando di più proprio perché erano di giovedì – e mi manca vivere la comunità LGBTI+ pavese, una comunità che mi ha accolto fin da subito a braccia aperte e per cui voglio tornare spesso a Pavia. Ci torno perché lì posso essere ciò che sono senza timore.

La cosa più grande che il lockdown mi ha tolto, però, è l’amore. Non poter vedere il mio compagno è un’agonia. Non poterlo toccare, baciare, abbracciare… è un inferno. È ancora più doloroso non poterlo chiamare per chiedere come sta, cosa fa, come vive lui il lockdown. Posso scrivergli, ma non sempre basta. Perché non posso?

Perché vivo in una famiglia omofoba e non voglio rischiare la vita.

Per lo stesso motivo non ho potuto chiedere aiuto a un’associazione: non sarei stato in grado di gestire la situazione, e forse non lo saprò fare nemmeno questa volta. Anche adesso, come nel primo lockdown, dovrò contare sulle mie forze, con la consapevolezza che dovrò fingere, e che non potrò vivere liberamente la mia identità, il mio amore e la mia sessualità.

Niente di nuovo sul fronte occidentale, è già successo in primavera. La prima volta ho avuto più crolli mentali, in effetti. Però la situazione era totalmente nuova, ora sono abituato – o forse rassegnato – all’idea che dovrò vivere così a lungo.

Ce la farò anche questa volta. Ma so che ne uscirò stremato, più del dovuto, e il mio equilibrio psicologico ne uscirà a pezzi, forse più di maggio.

Respira. Respira. Respira. Respira, respira, respira. Respirarespirarespira.
RESPIRA!

Poggi una mano sul petto: il tuo cuore, ancora dolorante, è una fievole fiammella. Hai bisogno di aria, hai bisogno di ossigeno, altrimenti non puoi alimentare quel debole fuoco che arde ancora – ancora? – dentro di te. Spalanchi la bocca per respirare, oppure per urlare? Il confine è labile.
Fa male. Fa maledettamente male.
Perché devi ridurti così? Che cosa ti costerebbe dar voce ai tuoi sentimenti, alle tue emozioni? Non dovrebbe essere così difficile: gli altri lo fanno spesso e tu li ascolti molto volentieri, quindi dove starebbe la difficoltà?
Vorresti farlo anche tu, ovviamente, ma non ce la fai. Soffochi per l’ennesima volta l’ennesimo singhiozzo, le tue spalle sussultano appena.
Pensi di cavartela così? Pensi che sia sufficiente per mettere in pace il cuore, in silenzio il cervello?
Ti piacerebbe.
È sufficiente abbassare la guardia per permettere al tuo corpo di sfuggire al controllo: iniziano le danze! Aprono lo spettacolo le tue mani, che tremano a un ritmo quasi innaturale; poi un coro di conati, uno in fila all’altro, che ti costringono ad inchinarti davanti a un pubblico plaudente: un coro di voci si solleva, prende possesso della tua mente, ti assorda, ti annichilisce.

Voglio andarmene.
No, smettila.
Non appartengo a questo posto.
Non è il momento, non ora, non ora…
Rivoglio la mia vita, rivoglio Pavia, rivoglio la mia identità.
Ingoia la nausea: è inutile ribellarsi, non puoi fare niente.
Voglio…
Niente!
Voglio…!
Chiudi quella dannata bocca!
IO VOGLIO URLARE!

AMA è una forma del verbo amare: terza persona singolare dell’indicativo presente, seconda persona singolare dell’imperativo presente. La parola AMA è formata da tre lettere, è monovocalica ed è palindroma.
Che cosa sto cercando di dirti?
Tutt*, in questo mondo, riceviamo amore da qualcun* e a nostra volta consegnamo il nostro cuore a qualcun* altr* – da un lato, appunto, l’indicativo. Eppure, per imparare ad amare sinceramente una persona, bisogna anzitutto essere capaci di amare se stess* – di qui, l’imperativo. Per scriverla, tracci tre segni e la consonante è abbracciata da due vocali: questo perché, per vivere, abbiamo bisogno di calore e di affetto. Infine è palindroma, perché in fondo l’ordine non è importante: l’amore è pur sempre amore.
C’è un Gruppo, AMA per l’appunto, che può aiutarti. Perché non chiedi aiuto? Non ti costerebbe nulla, alla fine si tratta di un messaggino.
E smettila: non disturbi nessuno. Siamo una famiglia, no? Ci si dà tutti una mano, indipendentemente dalla situazione in cui ci troviamo… oggi tu, domani io, senza alcuna esclusione.
Tu ed Io. Insieme ce la possiamo fare, supereremo anche questa.
Afferra la mia mano.

La salute emozionale ed emotiva è importante, è una parte fondamentale del nostro essere. Prendersene cura, averne cura, è un dovere che dobbiamo a noi stess*.
Non reprimere ciò che senti. Apriti, confidati, lasciati abbracciare: siamo tant*, divers*, ognun* con la propria storia, ma accomunat* dallo stesso desiderio: aiutarti, condividere con te un peso che da solo sembra immane, ma che in compagnia si può sorreggere senza eccessive difficoltà. Il gruppo AMA è qui, sempre. Noi ci siamo, ti sentiamo, ti capiamo, ti abbracciamo.
Sì, è normale sentirsi pesanti, è normale credere di essere un disturbo. Credimi, ci sono passata anche io. Tuttavia, c’è una cosa che questo gruppo speciale mi ha insegnato: ogni cosa che proviamo ci spiana la strada verso il futuro e anche le situazioni più brutte ci aiutano a migliorare, a diventare grandi – insieme.
Comunità è esserci per chi ha bisogno di aiuto.
Fai tesoro delle tue emozioni, perché sono parte di te e come tali sono bellissime. Non dimenticarlo mai.

E ricorda…
Un momento brutto è soltanto un momento!

FESTIVAL DEI DIRITTI 2020

Video realizzato da* volontar* di Coming-Aut in occasione del festival dei diritti 2020 dedicato al tema de “la cura”

Riproduci video

Spazi di ordinaria emergenza

L'INTERVISTA DEL MESE

Intervista a Barbara, referente del gruppo AMA, Cecilia, referente del gruppo Trans*, e Michela, referente del gruppo salute.

1. DI COSA SI OCCUPA IL TUO GRUPPO?

Barbara:

Il gruppo AMA di Coming-Aut è un gruppo di auto mutuo aiuto rivolto alla comunità LGBTI+. È un gruppo tra pari dove le persone, attraverso il confronto, il reciproco ascolto e la condivisione di esperienze di vita, possono essere di supporto le une verso le altre. Gli incontri si svolgono in un ambiente protetto, sicuro, nella massima riservatezza. Questo permette alle persone che vi partecipano di potersi esprimere liberamente su temi che, in quello specifico periodo della loro vita, risultano difficoltosi da affrontare.

Cecilia:

Il gruppo trans si occupa di elaborare e approfondire i temi legati alle identità di genere non conformi. Discutiamo aspetti che riguardano le diverse soggettività che compongono il mondo trans: persone binarie, non binarie, persone che scelgono di intraprendere un percorso di transizione medicalizzato e persone che invece effettuano una transizione meramente dal punto di vista sociale. Al centro della riflessione mettiamo sempre i nostri vissuti personali, nella convinzione che il personale è politico. Ci occupiamo poi di realizzare eventi aperti al pubblico in occasione del TDoR (Transgender Day of Remembrance) e del TDoV (Transgender Day of Visibility), le due date cardine della comunità trans: in questi momenti ci concentriamo su un tema specifico che abbiamo indagato. Lo scopo è di creare percorsi di sensibilizzazione e di rendere il territorio pavese maggiormente inclusivo nei confronti delle persone trans. In questo momento siamo, per esempio, al lavoro sul tema dello sport: l’obiettivo è quello di introdurre nelle società sportive del territorio buone prassi di inclusione per le persone trans che praticano uno sport, come il tesseramento alias. Inoltre abbiamo attivato una serie di servizi dedicati al benessere delle persone trans e di chi si sta interrogando riguardo la propria identità di genere. Uno di questi è il gruppo di auto-mutuo-aiuto (AMA-T), che vuole creare uno spazio protetto in cui poter condividere fra pari esperienze, dubbi, ipotesi di soluzioni, dare e ricevere supporto reciproco.

Michela:

Il gruppo Salute si occupa delle questioni legate alla salute delle persone LGBTI+ della nostra comunità. Organizziamo momenti di formazione, spesso in collaborazione con Universigay, rivolti a* nostr* volontari*, alla nostra comunità e a volte anche alla cittadinanza intera. Penso, per esempio, agli appuntamenti annuali in occasione del World AIDS Day, in cui ci impegniamo per lottare contro lo stigma che ancora oggi avvolge le persone che vivono con HIV. Ci occupiamo inoltre di progettualità legate al safer sex con approccio community based, vale a dire tutte quelle misure che fanno vivere il sesso in maniera più sicura, creando un ambiente privo di pregiudizi e aperto, in cui è possibile fare test rapidi HIV e ricevere preservativi e lubrificanti gratuitamente, accompagnati da un servizio di counseling tra pari.

2. PERCHÉ È UN ASPETTO IMPORTANTE?

Barbara:

Essere gay, lesbiche, bisessuali, transessuali o di genere non conferme, ad oggi in Italia e nello specifico in una città come Pavia, non è facile. Nella vita di tutti i giorni ci scontriamo con mille ostacoli. La visibilità, il rapporto con i genitori che molto spesso è problematico, le discriminazioni sul posto di lavoro, ci fanno vivere una condizione di minority stress. La paura, l’incertezza dell’oggi e del futuro ci segnano profondamente. Avere la possibilità di esternare il disagio, liberarsi della negatività che quotidianamente accumuliamo e ascoltare le esperienze e i suggerimenti di chi “ci è già passato” è essenziale. È un accompagnarsi, e condividere tutto ciò con la certezza che chi ti sta ascoltando ti comprende pienamente, ti fa sentire meno solo. La nostra parola d’ordine è: non sei solo!

Cecilia:

Fino a pochi anni fa le persone trans sul territorio pavese non erano visibili e non esistevano neppure servizi dedicati né buone pratiche di inclusione. Una persona trans alle prese con mille interrogativi riguardo a sé stessa o al percorso di transizione non aveva la possibilità di conoscere un gruppo formato da altre persone trans con cui potersi confrontare. Se pensiamo all’emarginazione e all’isolamento che spesso le persone trans sperimentano, questo poteva comportare un’ulteriore invisibilizzazione per queste persone. Ora esistono percorsi e servizi strutturati, quindi la persona trans può scegliere di rivolgersi a noi ed è consapevole che Coming-Aut riconosce la sua identità e tutela i suoi diritti. Penso al grande traguardo della carriera alias all’interno dell’ateneo pavese, sollecitato da Coming-Aut e Universigay, con il supporto del Coordinamento per il diritto allo studio: dalla sua approvazione tre anni fa gli studenti e le studentesse trans non devono più preoccuparsi dei coming out forzati, magari in momenti già emotivamente pesanti come gli appelli d’esame.

Michela:

Nel lavoro del nostro gruppo si incrociano due aspetti chiave della vita della nostra comunità: la libertà sessuale incontra il bisogno/dovere di prendersi cura del proprio corpo. Purtroppo ancora oggi viviamo in una società tendenzialmente sessuofobica, in cui non si fa educazione sessuale e parlare apertamente di sesso non è facile. Questo porta a una costante sotto-informazione della persona media, che a sua volta espone a comportamenti a rischio a causa della sottovalutazione del rischio. Il nostro costante impegno nella formazione e nella riduzione dello stigma ha come scopo proprio la responsabilizzazione dell’individuo nei confronti delle scelte che compie per sé.

3. COME È CAMBIATO IL VOSTRO LAVORO NELL’ULTIMO ANNO?

Barbara:

Di norma gli incontri si svolgono in sede. Purtroppo nell’ultimo anno, a causa del Covid-19, non è possibile incontrarci di persona e gli appuntamenti avvengono da remoto. È una soluzione di ripiego, decisamente meno consona al gruppo perché il calore umano e l’empatia che si crea tra i partecipanti diminuisce drasticamente. Nonostante tutte le difficoltà, il servizio è troppo importante per essere sospeso.

Cecilia:

È cambiato il numero di persone che si vogliono impegnare attivamente nel gruppo e portare avanti i progetti. All’inizio eravamo solo io e Marco La Cognata, ora siamo 5/6 persone. Non sono numeri altissimi, ma sono comunque una buona cifra contando che il gruppo esiste da relativamente poco tempo. Fra le persone trans del gruppo noto una maggiore rivendicazione della propria identità, unita alla consapevolezza dell’importanza delle proprie azioni; noto molta più voglia di essere presenti con la propria storia e il proprio vissuto per costruire qualcosa a beneficio di altre persone trans. E soprattutto noto tanto entusiasmo e voglia di fare. Naturalmente questo ci consente di distribuirci meglio il lavoro e occuparci di più attività in contemporanea. Inizialmente non esisteva un gruppo di lavoro specifico sui temi trans, l’esigenza delle persone era quella di ritrovarsi e confrontarsi su questioni personali inerenti la transizione, per cui vi era solo un rudimentale gruppo di auto-mutuo-aiuto. Col tempo si è formata una coscienza politica e il gruppo ha assunto la sua attuale dimensione.

Michela:

La situazione di pandemia ha reso per buona parte dell’anno impossibile incontrarsi di persona, quindi abbiamo spostato il nostro focus sulla formazione virtuale (dirette Instagram, Facebook) e le riunioni si sono svolte e si stanno svolgendo su Zoom. In maniera forse un po’ paradossale, questa pausa forzata ci ha dato il tempo di riflettere sulla direzione verso cui portare il lavoro del gruppo, e ci sta permettendo di creare progetti da poi implementare appena potremo ritrovarci di persona. Nel periodo estivo, quando le restrizioni si sono allentate un po’, abbiamo ricominciato a fare i test rapidi, e intendiamo ricominciare appena sarà possibile.

4. PUOI RACCONTARCI UNA STORIA SIMBOLICA DELL’IMPATTO DEL TUO GRUPPO?

Barbara:

Nell’ultimo periodo si è avvicinato al gruppo un uomo di mezz’età, che chiameremo Luca per proteggerne la privacy. Luca, dopo aver passato la sua vita alla ricerca dell’approvazione degli altri, conformandosi a quello che questa società eteronormata dice essere giusto, finalmente trova la forza di liberarsi di tante catene emotive e mentali e inizia ed accettarsi per quello che è: omosessuale. Durante gli incontri Luca parla del coming-out prima con sé stesso, poi con la famiglia, poi con gli amici. Sebbene tutto sembri procedere positivamente, quest’uomo ha un terreno instabile sotto i piedi, tutto è nuovo, le emozioni sono amplificate come quelle di un adolescente. Questo lo destabilizza, non è più un ragazzino e ha paura di non trovare la felicità e la serenità sentimentale. Ha paura di non aver più tempo e di aver buttato via la sua vita. Il gruppo AMA è determinante in questo passaggio di consapevolezza e di analisi. Le esperienze degli altri sono come pietre solide, a cui Luca può aggrapparsi per proseguire il suo percorso con maggior serenità. Luca così si rende conto che ogni secondo della sua vita è servito a creare la persona che è oggi, nulla è andato sprecato; ognun* di noi reagisce alla propria rivelazione in modo diverso e con i tempi più opportuni. Luca, oggi, ha una sola priorità: amare sé stesso!

Cecilia:

Riprendo il tema dello sport a cui accennavo prima: come gruppo trans di Coming-Aut siamo stati i primi ad indagare il tema in relazione alle persone trans. Da un’indagine che abbiamo svolto lo scorso anno nelle palestre di Pavia è risultato che ci sono diverse criticità per le persone trans che praticano uno sport o che lo vorrebbero praticare. Criticità tali da portare l’individuo a non iscriversi a una società sportiva o ad abbandonare la pratica. Ad esempio gli spazi binari (allenamenti, spogliatoi, docce, bagni) e la pratica sportiva stessa fondata, nella maggior parte dei casi, su parametri legati al sesso assegnato alla nascita, spesso accompagnati da una mancanza di formazione specifica sui temi dell’identità di genere. Questo ci ha portato a voler intervenire, studiando i casi virtuosi relativi a buone pratiche d’inclusione che già esistevano in altre zone d’Italia, nel tentativo di riprodurle anche nel pavese. È in quest’ottica che si inserisce il tesseramento alias: il nostro obiettivo è quello di riuscire a introdurlo nei contesti sportivi del nostro territorio, in modo tale che sia garantito l’accesso allo sport alle persone trans. In questo senso credo che l’azione del gruppo sarà impattante perché avremo creato ambienti più inclusivi.

Michela:

Mi vengono in mente due storie, entrambe degli ultimi mesi: si sono avvicinate all’associazione due persone straniere, entrambe sieropositive, che si trovavano per situazioni diverse a non avere la tessera sanitaria italiana e per questo erano funzionalmente “invisibili” agli occhi del nostro sistema sanitario, non avevano modo di accedere alle cure di cui avevano bisogno. Grazie al nostro impegno e alla nostra mediazione sono riusciti ad avere accesso alla terapia e ai farmaci.

5. COSA TI HA DATO COMING-AUT? IN CHE MODO COMING-AUT SI È PRESA CURA DI TE, HA FATTO VENIR VOGLIA DI PRENDERTI CURA DEGLI ALTRI?

Barbara:

Il fatto stesso che Coming-Aut esista, è di per sé un grande dono. Coming-Aut mi ha accolta, mi ha formata come attivista, ha fatto nascere in me la consapevolezza e la viscerale esigenza di lottare per i miei diritti e per quelli della mia comunità. In Coming-Aut ho trovato una famiglia, compagn* al mio fianco nelle gioie e nelle sconfitte. Coming-Aut è lo strumento che mi permette di arrivare agli altri, quegli altri che hanno bisogno di aiuto. So cosa vuol dire sentirsi soli al mondo, diversa, aliena, sbagliata. Prima di Coming-Aut è così che mi sentivo e non voglio che altri provino quel dolore.

Cecilia:

Coming-Aut mi ha mostrato che è possibile cambiare le cose e che gli artefici del cambiamento siamo noi con le nostre storie e con le nostre vite. La lotta per il doppio libretto e la battaglia per l’affitto negato, che mi hanno coinvolta in prima persona, mi hanno dato consapevolezza dell’importanza della visibilità come strumento di rivendicazione dei propri diritti. Sono davvero contenta, per esempio, di sapere che dopo di me altri studenti e altre studentesse trans hanno potuto beneficiare della carriera alias in ateneo, evitando episodi potenzialmente spiacevoli. In generale, ho potuto toccare con mano il supporto e l’accoglienza della comunità quando inizialmente mi ci sono avvicinata in modo timido, quando non sapevo come sarei stata accolta e chi avrei trovato. E ho deciso che avrei voluto fare altrettanto. Grazie alla passione dei volontari e delle volontarie già presenti in Coming-Aut si sono accesi in me l’entusiasmo e la voglia di mettermi a disposizione delle altre persone perché sappiano di non essere sole.

Michela:

Coming-Aut mi ha fatto incontrare una grande famiglia chiassosa e colorata in cui nessun* viene mai lasciat* sol*. Secondo me “famiglia” è quel gruppo di persone su cui puoi contare e che ci sono per te, come dicono gli inglesi, “no questions asked”. Conoscere l’associazione ed essere accolta in questa famiglia mi ha fatto venire voglia di esserci per tutt* gli/le/* altr*.

TRANS & SPORT

Lo sport è per tutt*? Quanto è inclusivo per le persone trans? Quali sono le difficoltà che una persona trans incontra quando si approccia al mondo dello sport?

Il tema è quantomeno attuale.

Ne abbiamo parlato lo scorso 13 ottobre durante il webinar organizzato da Coming-Aut LGBTI+ Community Center e Universigay “Le persone trans nello sport”, al quale ha partecipato, fra gli altri ospiti, la velocista transgender Valentina Petrillo, la prima atleta trans italiana ad essere ammessa a una gara ufficiale nella categoria del suo genere di elezione, nel suo caso femminile.

Per una persona trans che ha avviato la terapia ormonale sostitutiva ma che non ha ancora ottenuto la rettifica anagrafica sui documenti, dover dichiarare le proprie generalità significa esporsi molto spesso a dei coming out forzati di fronte a sconosciuti. Grazie all’azione congiunta di Coming-Aut LGBTI+ Community Center e Universigay e al supporto del Coordinamento per il Diritto allo Studio – UDU Pavia, nel 2017 l’Università di Pavia ha deliberato l’attivazione della carriera alias per studenti/esse in transizione di genere, che consente all’individuo di vivere l’ambito universitario utilizzando la propria identità di elezione. In ambito sportivo esiste una modalità simile, quella del tesseramento alias, volta a rendere più accessibile la pratica sportiva ad atlet* transgender. Di questo traguardo fondamentale va dato merito all’ente sportivo Uisp (Unione Italiana Sport per Tutti), che, su richiesta dell’associazione Gruppo Trans di Bologna, nel 2017 ha dato il via all’iniziativa all’interno di tutti i suoi circoli sparsi sul territorio nazionale.

L’attivazione del tesseramento alias si pone come obiettivo non solo il rispetto alla privacy e la tutela dell’identità personale de* soci* ma garantisce soprattutto di poter accedere alla pratica sportiva. Un’indagine effettuata lo scorso anno da Coming-Aut e rivolta alla popolazione trans pavese sul tema dello sport ha messo in rilievo diverse criticità presenti nei contesti sportivi. Ne è emersa spesso una scarsa preparazione del personale delle palestre e delle associazioni sportive riguardo alle tematiche trans, che porta a episodi di discriminazione e al conseguente abbandono dell’attività sportiva da parte dell’utenza trans. O peggio, la rinuncia a priori a frequentare una palestra per il timore che manchino buone prassi. Il tesseramento alias è una delle possibili soluzioni finora adottate, che permette tra le altre cose l’utilizzo dello spogliatoio ‘corretto’ e l’accesso agli allenamenti nella squadra del proprio genere di elezione, ma soprattutto garantisce il pieno riconoscimento della propria identità.

Nei prossimi mesi continueremo l’azione sul tema, affinché la pratica del tesseramento alias venga recepita dalle altre società sportive e dalle palestre presenti sul nostro territorio.

Solo allora, forse, lo sport sarà davvero anche per tutt*. 

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