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Report “Far bene per star bene”

Report dell’attività nelle scuole medie per l’anno scolastico 2013/2014 all’interno del progetto “Far bene per star bene” svolta da Arcigay Pavia “Coming-aut”

Titolo del progetto:

Omobullismo e discriminazione fondata sull’orientamento sessuale e l’identità di genere.

Introduzione:

La scuola é un ambiente protetto che educa bambini e ragazzi non solo all’acquisizione di strategie di apprendimento, ma anche alla relazione positiva con l’altro e all’interiorizzazione delle regole sociali. Durante la preadolescenza, fase di rapidi cambiamenti fisici e psicologici e di faticose richieste di adattamento, il contesto sociale diventa un punto di riferimento fondamentale per riconoscere un proprio gruppo di appartenenza e costruirsi un’identità sociale positiva(1). Chi si ritrova ad interagire con un ambiente ostile e svalutante ha maggiori probabilità di sviluppare un’immagine sociale inadeguata di sé e manifestare forme di disagio psicosociale legate al “minority stress” (Meyer, 2003).

Nel caso dell’omobullismo, il più delle volte la vittima é sola di fronte alle violenze verbali, fisiche e psicologiche dirette alla sua presunta omosessualità, non ha la possibilità di contare su un gruppo pronto a difenderla dagli attacchi e a restituirle un’immagine positiva della propria identità. L’esclusione sociale e i sentimenti di inadeguatezza aumentano il rischio di sviluppare disturbi d’ansia e depressione, e talvolta possono anche portare a gesti estremi. Le ricerche dimostrano che i giovani non eterosessuali hanno un rischio aumentato di ricorrere all’uso di sostanze stupefacenti (Marshal te al., 2008) e al tentato suicidio (Remafedi, 1991) rispetto ai loro coetanei eterosessuali. Inoltre, considerando i recenti fatti di cronaca, in più casi i giovani che sono arrivati al suicidio hanno lasciato messaggi espliciti sulla loro disperazione legata al non sentirsi accettati in quanto omosessuali.

In letteratura la psicologia sociale descrive la naturale tendenza a sopravvalutare il proprio gruppo di appartenenza e a svalutare il gruppo esterno(2), e propone interventi che da un lato promuovono il riconoscimento di un’appartenenza comune, attraverso l’accentuazione delle caratteristiche condivise da tutti gli individui(3), e dall’altro rinforzano la differenziazione tra i gruppi, per evitare la percezione di una minaccia alla propria distintivitá personale e la conseguente ostilità nei confronti di chi é diverso (Jetten, Spears e Postmes, 2004). Inoltre, recenti studi sull’adattamento alla diversità sociale e culturale evidenziano che il riconoscimento di più categorie sociali diverse (Hall e Crisp, 2005) favorisce l’acquisizione di una prospettiva che coglie l’individuo nella sua complessità, dunque impedisce l’uso di generalizzazioni attenuando così il ricorso agli stereotipi nell’incontro con l’altro. É dimostrato che la modificazione delle aspettative stereotipiche favorisce una maggiore tolleranza della diversità nelle relazioni sociali(4) e un miglioramento delle abilità cognitive personali in termini di flessibilità e adattamento alla complessità.

In conclusione, si rivela necessario organizzare interventi di prevenzione contro il bullismo omofobico nell’ambiente educativo della scuola, per favorire la presenza di un contesto sociale sereno ed equilibrato che promuova relazioni positive e offra spazio all’affermazione di diverse identità possibili in cui riconoscersi.

Il progetto

Obiettivo:

Il progetto “Far bene per star bene” gestito dallo Sportello Antidiscriminazioni del Comune di Pavia nasce dalla necessità di contrastare un fenomeno sempre più diffuso nelle scuole, il bullismo e, nello specifico, l’omobullismo. L’idea del progetto nasce infatti a seguito della notizia di una incresciosa situazione accaduta in una scuola media pavese: un ragazzo a causa delle vessazioni omofobe era stato costretto a cambiare scuola. Episodi di questo genere erano già stati segnalati negli anni passati alla nostra associazione.

L’obiettivo delle nostre lezioni all’interno del progetto “Far bene per star bene” è stato quello di educare alle diversità attraverso delle interazioni che stimolassero la riflessione nei ragazzi rispetto alle tematiche trattate, si è cercato inoltre di riconoscere e sviluppare le emozioni e l’empatia nelle dinamiche di gruppo. Spesso sono stati usati giochi ed attività che coinvolgevano direttamente gli studenti, come il “role playing”, per rendere le lezioni più partecipate e adatte all’età dei ragazzi.

Materiale usato:

  • Parlare di omosessualità a scuola (riflessioni e attività per le scuole secondarie) di Antonella Montano e Elda Andriola.
  • Opuscolo “Zaino in spalla” redatto dal gruppo scuole di Arcigay nazionale (reperibile dal sito di Arcigay nazionale).
  • Manuale per operatori “Compiti a casa” redatto dal gruppo scuole di Arcigay nazionale (reperibile da sito di Arcigay nazionale).
  • Libretto UNAR “Educare alla diversità a scuola” per la scuola secondaria di primo grado.
  • Uso del “Genderbread” tratto dal libro “The social justice advocate’s handbook, a guide to gender” di Sean Killermann.
  • Graglia M. (2011), “Il counseling con gli adolescenti non eterosessuali in difficoltà”, Rivista di sessuologia, 35 (1), pp. 41-47
  • Moscatelli S., Rubini M.,”Inclusività dell’identità sociale ed integrazione fra gruppi”, incontro tematico “Spazi interculturali, trame, percorsi, incontri” (2008), Associazione Italiana di Psicologia, disponibile all’indirizzo http://www.aipass.org/paper/moscatelli.pdf

Formazione degli operatori:

  • Gli operatori, volontari del gruppo scuola della nostra associazione, hanno tutti seguito un corso di formazione gestito dall’associazione tenuto da volontari con più esperienza, che avevano seguito a loro volta corsi di formazione gestiti da Arcigay nazionale, sotto la supervisione della nostra associata psicologa, dott.ssa Sara Bosatra. Il corso di più di 15 ore mirava a preparare al meglio i volontari fornendo loro informazioni, definizioni e tecniche adeguate alle attività e all’età dei ragazzi. Molte ore sono state utilizzate per simulazioni delle possibili situazioni e risposte dei ragazzi durante le lezioni.

    Responsabili e volontari:

  • Niccolò Angelini e Alessandra Alvarez, responsabili.
  • Sara Bosatra, psicologa.
  • I volontari che hanno partecipato attivamente al progetto erano dai 3 a 4 per lezione, il doppio nel caso della classe della scuola media Angelini che era divisa in due gruppi.

    Struttura delle lezioni:

    Il progetto prevedeva cinque incontri di due ore scolastiche per volta. Le scuole che hanno scelto la nostra associazione per le lezioni sono state la scuola media Angelini di Pavia e la scuola media di Giussago; entrambe con una classe del terzo anno. Nel caso dell’Angelini che aveva una classe numerosa abbiamo concordato di dividere la classe in due gruppi per lavorare meglio con i ragazzi. Le lezioni avevano un tema diverso ogni volta, gli argomenti trattati erano concordati con anticipo e valutati dalla nostra psicologa; spesso il tema e l’organizzazione delle lezioni dipendevano dal lavoro già svolto e dal feedback ricevuto dai ragazzi nella lezione precedente.

    Svolgimento del progetto:

    Le lezioni erano tendenzialmente svolte parallelamente in entrambi le scuole coinvolte nel progetto.

1) Primo incontro: ci siamo presentati e abbiamo presentato l’associazione informando i ragazzi delle motivazioni che ci avevano portati da loro e dello scopo del progetto “Far bene per stare bene”. Dopo di che abbiamo chiesto ai ragazzi di presentarsi a loro volta per creare un rapporto cordiale e informale utile a rendere le nostre lezioni meno frontali, la disposizione della classe era sempre quella delle sedie in cerchio per stimolare il dialogo e la condivisione. Nel resto della lezione abbiamo parlato di definizioni come: orientamento sessuale, identità di genere, sesso biologico, coming out e outing. Per spiegare i primi tre termini ai ragazzi ci siamo serviti del “Gengerbread” (ispirato a un biscotto di pan di zenzero), un simpatico schema riconoscibile dai ragazzi perché ricorda un personaggio di un film molto conosciuto. L’uso di questo schema è stato un successo perché i ragazzi hanno colto bene le definizioni senza fare confusione, visto e considerato che spesso gli adulti fanno fatica a capire questi termini e soprattutto le differenze. Per rendere meglio le differenze tra outing e coming out abbiamo usato una testimonianza che aveva il compito di chiarire le definizioni di queste parole e creare empatia negli ascoltatori verso le discriminazioni che spesso subiscono le persone omosessuali nel rapportarsi con gli amici, la famiglia e l’ambiente che le circondano.

2)  Secondo incontro: ci siamo confrontati su argomenti quali il bullismo, l’omobullismo e il cyberbullismo. Abbiamo dato le definizioni e spiegato chi sono i personaggi (vittima, bullo e pubblico soffermandosi in special modo sul pubblico positivo) in queste situazioni. La seconda parte della lezione prevedeva un “circle time” in cui abbiamo chiesto ai ragazzi di stilare una lista di cinque regole, contrattandole e discutendole tra loro, da usare in classe in caso di bullismo o di comportamenti scorretti. Il confronto e la mediazione tra i ragazzi per trovare le regole per stare bene in classe e la sanzione in caso di mancato rispetto delle stesse ha dato la possibilità ai ragazzi di ragionare sia sulla causa sia sulle conseguenze del bullismo nella loro classe. L’attività proposta è stata molto partecipata perché i ragazzi potevano autogestirsi e discutere attivamente tra di loro. In ogni classe è rimasto un cartellone con le cinque regole scritte per stare bene in classe e la sanzione nel caso di mancato rispetto.

3)  Terzo incontro: nei primi due incontri abbiamo colto che le classi avevano una caratteristica comune cioè quella di avere grosse difficoltà nel riconoscere le emozioni, sia le proprie sia quelle delle persone con le quali si relazionano. Abbiamo quindi ritenuto necessario dedicare il terzo incontro all’alfabetizzazione emotiva, che consiste nel potenziamento della capacità di riconoscere le emozioni per poi rapportarsi con gli altri. Abbiamo chiesto ai ragazzi in un primo momento di scrivere in un foglio come si sentivano in quel momento senza rivelare la risposta, dopo di che abbiamo chiesto loro di definire le emozioni, per poi identificarne alcune attraverso una tecnica di brainstorming e scriverle alla lavagna. Questo lavoro è stato un percorso necessario per la seconda parte della lezione dedicata all’immedesimazione, cioè abbiamo chiesto ai ragazzi di pensare a come si potessero sentire una vittima mentre subisce un atto di bullismo e un bullo mentre lo compie. Tutte queste attività sono state necessarie per dare ai ragazzi gli strumenti per cominciare l’attività di role playing.

4)  Quarto incontro: continuando il lavoro dell’incontro precedente abbiamo parlato ancora delle emozioni con riferimento al pubblico passivo, cioè il pubblico che guarda una scena di bullismo e non reagisce in nessuna maniera. Il ruolo del pubblico nel bullismo è stato più volte ribadito durante la lezione per infondere nei ragazzi un senso di responsabilità nei confronti della vittima di bullismo e stimolarli a denunciare atti di questo tipo. Nella seconda parte della lezione abbiamo introdotto la definizione di risposta assertiva, che è messa in atto dalla vittima nei confronti del bullo allo scopo di porlo di fronte ai suoi atteggiamenti e invitarlo a smetterla. Questo concetto ci è stato utile per dare il via a un nuovo momento di role playing in cui abbiamo messo i ragazzi di fronte alla dimensione cognitiva alla risposta assertiva.

5) Quinto incontro: questo incontro è stato utilizzato per ottenere un feedback da parte dei ragazzi al fine di avere dei dati che ci serviranno per migliorare i nostri interventi futuri. Infatti, in un primo momento abbiamo chiesto ai ragazzi di scrivere tre cose che avevano apprezzato delle nostre lezioni e tre cose che non avevano apprezzato; anche noi come volontari abbiamo svolto lo stesso compito impartito ai ragazzi. Nella seconda parte della lezione abbiamo ritenuto utile terminare il percorso con un’attività che racchiudesse tutti gli argomenti trattati durante le lezioni. Per fare ciò abbiamo usato un gioco chiamato “sdoganare lo stereotipo”, che aveva il fine di spiazzare i nostri ascoltatori per rompere le loro resistenze a livello cognitivo creando empatia verso le persone, che in questo caso specifico appartengono alla comunità LGBTI. Il gioco consiste nel passare ai ragazzi delle foto di personaggi famosi, alcuni da loro conosciuti, e di comunicare delle informazioni generiche ricavate dalla sola osservazione delle fotografie; una volta finito il giro abbiamo chiesto cosa accumunava questi personaggi invitandoli a ragionare sulle diverse possibilità.

Conclusioni:

Questo progetto è stato una sfida per la nostra associazione perché era la prima volta che lavoravamo con le scuole medie, pur avendo svolto numerose lezioni nelle scuole superiori. Riteniamo che l’esperienza sia stata positiva perché i ragazzi si sono dimostrati molto attenti e collaborativi per la maggior parte del tempo.

Durante le nostre lezioni i ragazzi sono stati in grado fare ragionamenti profondi, in particolari casi sono stati empatici, nonostante sia emersa con chiarezza la necessità di un lungo percorso di alfabetizzazione emotiva da svolgere per migliorare la loro capacità di riconoscere le emozioni. Infatti, dai loro bigliettini dove avevano scritto le tre cose che avevano apprezzato e le tre che non avevano apprezzato, é emerso che le attività legate alle emozioni non sono state molto apprezzate in quanto le hanno ritenute un po’ imbarazzanti. Invece le attività più gradite sono state quelle legate al role playing, che hanno richiesto un ruolo attivo nella lezione.

In generale i ragazzi si sono dichiarati contenti di aver partecipato a questo progetto e di aver discusso apertamente dei temi trattati.
Riteniamo però che ci sia un forte bisogno di infondere in questi ragazzi un’educazione empatica alle diversità, di insegnare loro l’importanza di denunciare episodi di bullismo e di violenza agli adulti, e soprattutto di insegnare loro ad essere un pubblico positivo in grado di dare un sostegno emotivo per la vittima di bullismo.

 

1 Teoria dell’identità sociale, Tajfel e Turner, 1979.
2 Teoria del conflitto realistico, Sherif et al., 1966.
3 Paradigma di Gaertner e Dovidio, 2000.
4 Modello dell’adattamento cognitivo all’esperienza della diversità, Crisp e Turner, 2011.

 

 

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