«Avevo dodici anni quando ho capito di essere lesbica. Da allora non l’ho nascosto a nessuno, nonostante vivessi e tutt’ora viva in un paese di 1500 abitanti. Da allora sono andata a molti Pride, a Milano, a Roma, a Napoli… Inseguendo i Pride ho girato l’Italia. Ai Pride mi sento libera, sento attorno a me una comunità felice, contribuisco con la mia voce all’urlo liberatorio che riempie il cielo sopra la città. Al ritorno, però, mentre percorro la strada che mi riporta a casa, mentre sono ancora emozionata ed esausta, e commento con gli amici ogni dettaglio della parata, ho l’impressione di lasciarmi alle spalle anche quell’urlo, sento che il momento di libertà che ho vissuto resta lì, inchiodato sopra la città. Quando arriverò a casa, sul muro del mio giardino ci sarà ancora il disegno di due vagine; mia madre continuerà a volermi bene e a vergognarsi di me: mi abbraccerà, mi dirà che mi capisce, ma quando Laura verrà a trovarmi, lei continuerà a chiudere le ante di tutte le finestre, ad aggirarsi per casa come una ladra, a parlare a bassa voce; noi rinchiuse al buio, fuori gli occhi che guardano. Gli occhi di tanta gente che continuerà a scandalizzarsi in pubblico e a confidarmi in privato la propria solidarietà, l’apertura mentale da condividere in segreto, come fosse una trasgressione; e la mia famiglia sarà trattata con la stessa compassione di ieri – “non hanno colpe loro, poverini, sono cose che capitano”. Voglio dire: continuerò ad essere la lesbica del paese».
Una storia come tante altre, quella di Teresa, dalla quale sono scaturite molte domande: Che cosa vuol dire essere una “lesbica di paese”? La vita di una persona LGBTI cambia se è vissuta in provincia? Che cosa comporta vivere un’identità storicamente avversata dal potere, come le identità LGBTI, in un luogo che sta al margine, in una realtà lontana dal centro, e quindi dal potere stesso? Che cosa significa, per una persona LGBTI, stare in un luogo in cui il cambiamento penetra con più fatica, forse perché è un luogo lontano da dove il cambiamento è elaborato e vissuto? Vivere la propria visibilità, in provincia, vuol dire interrogare tutta la propria comunità, significa dover vivere un protagonismo nei discorsi, nelle curiosità, nel giudizio di tutti; ed esporre anche i propri familiari alle stesse curiosità e agli stessi giudizi: che cosa significa questo per una persona LGBTI?
Il lavoro di Arcigay Pavia “Coming-Aut” sul tema “LGBTI e provincia” è partito da queste domande, dal racconto di Teresa, dalle testimonianze di molti altri attivisti, simpatizzanti e utenti dell’associazione; e si è arricchito grazie alle attività che l’associazione ha portato avanti nei paesi più piccoli, fra le persone che vivono distanti. Un tema che ha preso piede in molti e profondi momenti di riflessione, che ha stimolato fantasia e discussioni e che è diventato così centrale, soprattutto qui e soprattutto oggi, da meritare di diventare titolo e tema del Pavia Pride 2017.
Il Pavia Pride del prossimo 10 giugno sarà un pride di storie, storie raccontate da un margine che non è soltanto dolorosa lontananza, ma è anche, e forse sorprendentemente, un luogo di libertà.
Storie comuni, storie stravaganti, storie di quotidianità, storie notturne, storie di tortura e di morte, storie di serenità e di pazienza e lunghe storie d’amore.
Nella provincia, in tutte le province del mondo, ci sono uomini e donne che hanno una storia da raccontare.
Barbara ed Elena, in primavera, diventeranno una formazione sociale specifica; Elena ha scelto l’abito bianco, Barbara no: “piuttosto ci vado nuda” ha detto.
Quando Lorenzo ha fatto coming out con sua madre, lei gli ha sputato addosso.
Marco è un transessuale e fa il maestro; quando è entrato per la prima volta nella sua classe stava già portando avanti la transizione. Di questo ha discusso molto con le colleghe e i colleghi, e la dirigente scolastica ha voluto confrontarsi con lui a tutto campo. Ora Marco è vicepreside della sua scuola e un attivista per i diritti LGBTI.
Carlo, Ibrahim e Alessandra si erano innamorati il 13 agosto, da qualche parte in Puglia, forse a Ostuni: da allora tutto è molto complicato, ma adesso hanno una casa nuova in via Volta, un senso profondo di accoglienza reciproca e una gatta; il tabaccaio in fondo alla strada li chiama: “La Trinità”.
Lucia, la figlia di Maria e di Carmen, ha giocato tutto il pomeriggio con Giacomo: le loro famiglie si sono conosciute grazie alla Rete Genitori Rainbow, insieme lottano per il riconoscimento della genitorialità LGBTI, e ogni sabato pomeriggio si trovano sulla Greenway a fare un giro in bici e a mangiare pane burro e marmellata.
Diego ed Enzo, dopo una vita insieme, hanno deciso di sposarsi; in Portogallo.
Anche se ha chiuso tardi lo studio ed è stanco morto, stasera Mattia farà un salto in riva al fiume: ne ha bisogno perché quel luogo gli ricorda i suoi vent’anni, e perché, nonostante le chat abbiano soppiantato il passeggio, si può ancora trovare qualche buon amante, e qualche ora di fantasia e di libertà.
Qualcuno dice che gli omosessuali sono nemici di Allah, per questa ragione, a Barzak, in Iran, Sahadat è stato condannato a morte. Aref voleva bene a Sahadat ed è fuggito: ora ha ottenuto l‘asilo politico in Italia e abita a Pavia, in viale Campari.
Paolo aveva dei genitori omofobi, così un giorno ha deciso di camminare sui binari del treno mentre passava il treno.
Ferdinando è di Bressana Bottarone, e può dire di conoscere uno a uno tutti i 3.500 abitanti dal suo paese; in dieci anni ha trasformato un piccolo borgo nel comune più rainbow della provincia: ci è riuscito lavorando giorno per giorno, senza alzare la voce, coinvolgendo le istituzioni, appassionando la gente e l’amministrazione comunale a una battaglia per la dignità e i diritti di tutti.
Luisa oggi ha perso il suo lavoro di magazziniera; quando è arrivata a casa non riusciva nemmeno a parlare; avrebbe voluto chiamare Antonia, vederla, fare l’amore: ma loro si vedono soltanto a Pavia, dove Antonia studia medicina ed è orgogliosamente lesbica ma in paese, ci torna da eterosessuale.
Carla è in ritardo, il drag show a Voghera inizia tra un’ora e lei deve ancora scegliere la parrucca: anche stasera sarà bionda, è un dovere morale.
Tommaso ha iniziato la terapia antiretrovirale da circa un anno, va a curarsi a Milano – 60 km per andare e 60 per tornare: 120 km che lo separarano dai giudizi dei vicini, dai bisbigli per la strada, una migrazione terapeutica che gli risparmia di essere marchiato a fuoco. Una mattina della settimana scorsa, Samuele ha trovato un foglio in cucina, era appeso al frigorifero con la calamita che lui e Tommaso avevano comprato a Lisbona: “Viremia zero Amore duecento” c’era scritto, e il caffè, da quel giorno, ha un altro sapore.
“Sì, mio figlio è gay. Dov’è il problema?”, mentre lo diceva alle sue colleghe della pro-loco, Giuditta si è sentita orgogliosa di se stessa.
Cesare e Loris sono stati insieme per quarant’anni, insieme hanno girato il mondo e hanno cenato insieme per 14.600 sere di seguito; un pomeriggio, in una corsia del Policlinico San Matteo, il medico ha detto a Cesare: “suo cugino è morto”.
Marina frequenta il quarto anno al Liceo Cairoli; dopo che il gruppo scuola di Arcigay Pavia ha tenuto una lezione in Aula Magna, lei ha scritto all’associazione: “ho voglia di impegnarmi, di essere ancora più lesbica di prima!”; poi, due settimane fa, Marina ha sfiorato la mano di Sofia durante l’ora di matematica; quello stesso pomeriggio si sono baciate e ormai fanno progetti il futuro…
PER TUTTI NOI – 10 GIUGNO 2017 – PAVIA PRIDE