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LA NOSTRA QUARANTENA

ATTIVITÀ AI TEMPI DEL COVID-19

Restiamo a casa. Tre parole che sono diventate l’ordine e l’auspicio, ritornello, ossessione e bandiera dell’emergenza Covid-19.

La nostra primavera comunitaria si è schiantata contro il diffondersi del virus, contro i provvedimenti del governo, si è schiantata negli spazi chiusi, sulle strade vuote. L’orizzonte era ricchissimo, felice: ci sarebbe dovuto essere l’ultimo appuntamento di UNTOLD, il ciclo annuale di incontri dedicato alle rappresentazioni artistiche delle identità LGBTI+, ci sarebbero stati tanti dei nostri martedì al Caffè Teatro, i nostri mercoledì a Voghera, gli incontri con grandi autori e libri importanti, un convegno per i giornalisti sul linguaggio inclusivo, un’intera Pride Week da vivere, e l’esplosione del Pavia Pride. E poi c’erano i gruppi di lavoro di Coming-Aut, che si riuniscono ogni settimana, c’erano i servizi dell’Associazione, essenziali per tant*, dallo Sportello Migranti al Counselling, fino ai gruppi di Auto-Mutuo-Aiuto.

Quando, a pochi giorni dai provvedimenti anticontagio, sono arrivate le prime segnalazioni, le prime richieste d’aiuto, dentro la comunità LGBTI+ del terrritorio si è diffusa, subito, con una rapidità commovente, la consapevolezza che questa emergenza stava già gravando in modo particolare su tant* di noi, soprattutto su quell* fra di noi che già vivevano situazioni complesse: era necessario affrontare l’emergenza insieme. Ed è il sentimento di solidarietà che ci ha tenut* assieme, che ha permesso in pochissimi giorni che tutto ricominciasse on line. I servizi e i gruppi di lavoro sono ripartiti sulle piattaforme, con decine e decine di volontari* impegnati ogni giorno in riunioni e approfondimenti: in una fase di isolamento, di difficoltà a condividere ed elaborare insieme, Coming-Aut LGBTI+ Community Center è riuscita ha ricostruire uno spazio possibile dove incontrarsi, dove condividere, approfondire e riflettere. Quello spazio è attraversato ogni giorno dall’energia di tante persone, dalle difficoltà, dai dubbi e dalle certezze di ciascun* e tutto si mischia e si relaziona, e si costruiscono consapevolezze e percorsi politici. Progetti e battaglie. È la nostra lotta, che origina come sempre dalla comunità, e che nemmeno il covid-19 è riuscito a fermare.

Per noi, l’emergenza che stiamo vivendo avrà la faccia fiera di Alina, che ha vissuto il margine estremo, e ha trovato nella solidarietà concreta della comunità LGBTI+ lo strumento per rimanere in piedi. Alina ha messo a disposizione di tutt*, attraverso Svelate, la sua storia di donna trans sex worker, il suo racconto diretto e forte. L’emergenza è anche la faccia di Federico, medico al pronto soccorso, di Elena che fa il pane, di Paola, che non ha mai smesso di coltivare la terra, di Beatrice, che si è trovata senza lavoro né stipendio. Di tutti i lavoratori e le lavoratrici LGBTI+ che hanno realizzato insieme la campagna “Il mio lavoro è necessario”.
L’emegenza avrà la faccia di Sky, di Lorenzo, di Maciej, di Mara, di tutt* noi che non vogliamo cedere all’isolamento e all’esclusione, noi che siamo dentro a quel margine che si allarga, che riproduce sofferenza e ingiustizia sociale, e che usiamo la solidarietà per restituire umanità, e metterla in circolo.

Questo numero speciale di Svelate è dedicato a tutto questo, al racconto della comunità LGBTI+ al tempo del covid-19.

La redazione

Spazi di ordinaria emergenza

l’intervista del mese

Il Comitato per i diritti civili delle prostitute aveva lanciato l’allarme già a fine marzo: «La maggior parte delle sex worker non è in grado di accedere alle prestazioni sociali istituite come misure di emergenza dal Governo. È un momento di disperazione e di paura». Dal cuore della comunità LGBTI+ pavese, la storia di Alina.

«Me li sciolgo dopo, per la foto».

Alina indica i capelli scuri, raccolti. Fa caldo, c’è il sole, la terrazza di cemento è grande e vuota; contro il muro, soltanto un vecchio paio di scarpe da trekking, un cane di pezza, qualche vaso di terracotta abbandonato, una pantofola. Accostati alla ringhiera, il tavolo e due sedie di plastica. È lì che Alina beve il caffè, affacciata sulla strada dove non passa nessuno, nel silenzio monolitico del quartiere.

«Ho sempre vissuto la mia identità trans, fin da quando ero bambina. Sono cresciuta in una famiglia grande, sei tra fratelli e sorelle, eravamo poveri. Della mia infanzia ho ricordi felici. Già da piccola, sentivo la mia identità, allora cercavo un po’ di nasconderla ma non ci riuscivo, erano gli altri che mi facevano capire quello che pensavano di me: o è gay o è trans. Nella mia vita è stato così da sempre: la prima cosa che gli altri vedono in me è la mia diversità».

Alina ha 35 anni, è nata in Romania, vive a Pavia da 13 anni.

«Quando i miei genitori sono morti, noi fratelli eravamo liberi di andare. Alcuni sono andati in Grecia, altri in Albania, altri qui in Italia. Anch’io sono partita, volevo un lavoro, una sistemazione. Così, 13 anni fa, sono arrivata a Pavia. Mi trovo abbastanza bene qui, ormai ho parecchi amici, ma la mia vita è un calvario. Appena arrivata ho capito quanto può pesare il pregiudizio quando cerchi un lavoro. Se sei trans, straniera e povera, chi ti vuole assumere? Ho dovuto cominciare a prostituirmi in strada. Non è che ci vai con piacere a lavorare in strada, diciamo la verità: è un lavoro duro, ti espone a un rischio continuo, non sai chi arriverà, non sai che cosa ti succederà, potrebbero anche ammazzarti».

Per via delle misure anti contagio da Covid-19, Alina ha dovuto interrompere il lavoro di sex worker e non ha accesso alle misure di sostegno al reddito previste per l’emergenza.

«Da quando hanno chiuso tutto non posso lavorare, sono sola. Mi è arrivata la bolletta da pagare, 1400 euro di luce, perché d’inverno mi scaldo con la stufetta elettrica. Senza lavoro, come faccio a pagarla? Non ho né il gas né l’acqua, se mi staccano anche la corrente, non lo so… Comunque rispetto le regole, resto in casa, ma se non avessi l’aiuto concreto di Coming-Aut e della comunità LGBTI, e senza il sostegno economico del progetto “Nessuna da sola”, non so se sarei ancora in piedi. Spero che il coronavirus sparisca presto, e spero che questa esperienza di isolamento ci lasci un po’ di umanità, la capacità di essere uniti, di guardarci tutti, davvero, come esseri umani, senza escludere, senza allontanare nessuno».

Che cosa vedi nel tuo futuro, Alina?

«Nel mio futuro avrò sempre la mia calma nell’affrontare la vita e la speranza che ricostruisco giorno per giorno. Domani spero di poter continuare la transizione. Se ne avrò la possibilità, bene, altrimenti che devo fare? I miei amici mi spronano: sei bellissima Alina, mi dicono, te lo meriti. E io già so che mi sentirò ancora più in gamba, starò bene. Ragiono per oggi e per domani, più in là è difficile, perché vivere è come battere, non puoi mai sapere come andrà. Ciò che ci sarà sempre è la sicurezza che Dio non mi abbandona, anche nell’incertezza continua del domani, questo è respiro, il riferimento della mia vita».

Sei innamorata?

«Non è questo il periodo per pensare all’amore. Prima voglio sistemarmi, fare il mio percorso. Poi vedremo».

Ma l’amore capita all’improvviso, non puoi programmarlo…

«No comment».

È il momento delle foto, Alina si scioglie i capelli, si sistema.
Per me è la prima persona che incontro da oltre un mese, io lo sono per lei.


Tra di noi, il metro canonico.

Lettere d’amore e di lotta

notizie dal mondo

Maciej, da Pavia, aveva denunciato con coraggio l’intensificarsi della propaganda e delle azioni omotransfobiche in Polonia. E la sua storia ha viaggiato, è arrivata a Bruxelles, fino all’Intergruppo per i diritti LGBTI del Parlamento Europeo; e ha continuato a viaggiare. 

Quando l’europarlamentare europea Eleonora Evi, dopo aver letto l’intervista a Maciej, si è messa in contatto con Coming-Aut LGBTI+ Community Center per conoscere i dettagli, dentro l’associazione la riflessione era avviata da tempo. 

Grazie a Maciej e al suo desiderio di condividere, le volontarie e i volontari, i tanti studenti universitari che popolano la comunità LGBTI+ pavese, stavano già elaborando, sul tema, una prospettiva politica: da Coming-Aut è arrivata la proposta di rivolgersi ai Rettori polacchi, per chiedere garanzie e tutele per la comunità studentesca LGBTI+ di tutta Europa, che attraverso programmi europei come l’Erasmus, in Polonia vive e studia. La nostra proposta è diventata una lettera firmata da oltre 40 europarlamentari.

Oggetto: Garantire spazi di apprendimento sicuri nelle Università polacche

Carissimi Rettori,
Vi scriviamo per esprimere la nostra profonda preoccupazione circa i provvedimenti presi da alcune amministrazioni locali in Polonia, negli ultimi mesi, che discriminano apertamente la comunità LGBTI+ in Polonia e rappresentano una aperta minaccia nei confronti di molti studenti polacchi ed europei che in questo momento stanno studiando nelle università in tutta la nazione.
Dall’inizio dell’anno scorso si sono verificati oltre 80 casi di regioni, provincie o municipi che si sono dichiarate libere dalla cosiddetta “ideologia LGBT”, o che hanno approvato delle “Carte regionali sui Diritti delle Famiglie” o che hanno applicato alcune disposizione in esse contenute. Chiedendo alle amministrazioni locali di evitare di intraprendere qualunque azione che incoraggi la tolleranza nei confronti delle persone LGBTI+ o di fornire alcun tipo di supporto alla comunità LGBTI+, queste risoluzioni contribuiscono ad inasprire un ambiente già ostile, e di conseguenza a mettere a rischio la sicurezza e il benessere dei molti studenti polacchi ed europei che appartengono a questa comunità e frequentano le vostre università.
Queste iniziative intaccano la vita degli studenti polacchi così come quella delle migliaia di studenti europei che, grazie al programma Erasmus e ai progetti di mobilità studentesca, vivono e studiano nel vostro paese. Questo programma è stato ideato e finanziato dall’Unione Europea non solo per permettere ai giovani europei di studiare all’estero, ma anche per far nascere in loro un senso di identità Europea che sia basata sull’apertura e l’accettazione delle rispettive diversità. Continuare a stanziare fondi perché i nostri studenti possano studiare all’estero in un ambiente in cui questi stessi valori sono apertamente negati, negherebbe lo scopo stesso del programma.
Le università hanno un ruolo chiave nel plasmare la prossima generazione di europei pertanto, come legislatori, abbiamo l’obbligo di assicurare che in tutta Europa queste istituzioni rappresentino uno spazio sicuro per tutti gli studenti.
Le nostre università hanno la responsabilità di difendere e promuovere i valori di apertura, tolleranza e dialogo, prendendo le distanze da ogni iniziativa che metta in discussione questi valori incoraggiando la discriminazione e l’intolleranza contro un determinato gruppo o minoranza.
Oggi, più che mai, le istituzioni come le vostre hanno l’occasione di schierarsi dalla parte dei diritti umani e dell’inclusività.
Per questo vi esortiamo a prendere pubblicamente le distanze da queste iniziative disgustose e ad adottare tutte le misure necessarie per garantire uno spazio sicuro in cui tutti gli studenti possano prosperare intellettualmente e personalmente, indipendentemente dal loro orientamento sessuale, dalla loro identità di genere e dalle loro caratteristiche sessuali.
Vi ringraziamo per l’attenzione e rimaniamo in attesa di vostre notizie.

From Poland with Love

Maciej, nel frattempo, è tornato in Polonia, dove sta vivendo la quarantena in casa dei suoi genitori, in una delle città dichiarate “zone libere dall’ideologia LGBT”.

Ha scritto a Svelate una bellissima lettera per tutti gli amici e le amiche della comunità LGBTI+ pavese.

Car*
sono passati mesi da quando Pavia mi ha salutato con gli ultimi raggi di sole (e non con la nebbia, stranamente). Quella luce e i vostri sorrisi mi hanno dato un po’ di speranza e di motivazione.
Qualcosa magari sta finendo, ma qualcos’altro forse sta iniziando, lo dicevo a me stesso all’aeroporto, con le valigie nella mano, mentre raccoglievo da terra il mio cuore.
Gli addii sono veramente difficili. Come si può, con poche parole, ringraziare le persone che sono diventate i tuoi fratelli, le tue sorelle, che ti hanno aperto la loro casa?
Che cosa si può dire a colui che è stato il tuo primo amore, dopo averlo baciato per l’ultima volta?
Mentre partivo volevo credere di lasciare a Pavia qualcosa di me (oltre a un paio di scarpe rosa col tacco, orrende, e l’aria da ragazzo un po’ sfigato). E ci credo ancora.
Sono tornato in Polonia qualche giorno prima dell’inizio della pandemia e ora, dopo aver sistemato un po’ la mia vita, sono finito come tutt*: in quarantena, con i genitori conservatori (e per fortuna con del whiskey nell’armadietto) in un piccolo paesino nel sud della Polonia. E mi vengono in mente i ricordi dell’adolescenza. Da allora, molte cose sono cambiate, però i miei non sanno ancora che sono gay (non so come non si possa indovinarlo con un figlio super fan di Madonna in casa?!) e il pensiero del coming out non è molto incoraggiante… Ma verrà anche questo giorno. Forse fra quarant’anni, quando mi presenterò al pranzo di Natale col mio coinquilino…
Vabbè.. Maratona di film e di serie tv? Fatto. Guardare degli stupidi TikTok con mia sorella? Fatto. Basta per qualche giorno. Ma ovviamente c’è anche un po’ di serietà nella vita di un ragazzo ventunenne, per esempio intervistare il mio alter ego davanti allo specchio o conversare con la mia gatta sul senso della vita.
Ho voglia di scherzare, ma la verità è che siamo lontan*. Chius* nelle nostre case, nei nostri paesi, nei nostri territori. Sì, i confini esistono davvero e me ne accorgo adesso più che mai prima. E la comunità che mi conosce e mi accetta, un’altra famiglia, mi manca tanto. E lo so che anche a voi manca questo contatto diretto, abbracciare i vostri amici e le vostre amiche (per fortuna c’è A casa con Coming-Aut che seguo di tanto in tanto).
Questa esperienza ci avvicina, gli ostacoli che abbiamo di fronte sono quasi gli stessi. E nei cuori non ci sono i confini, perché sentiamo la stessa solitudine e lo stesso dolore, la gioia e la passione. Le lacrime e i sorrisi.
E la rabbia. Mi arrabbio quando sento dire a certi preti che il coronavirus è la punizione per i peccati omosessuali; quando il nostro Parlamento durante l’epidemia discute proposte di legge per proibire l’educazione sessuale, col pretesto della lotta alla pedofilia, e per distruggere i diritti delle donne. Mi arrabbio e mi chiedo dove sto vivendo. Ma poi penso a voi, e lo so che non sono da solo. Che ci siete. Grazie a voi la mia voce è arrivata al Parlamento Europeo, qualcosa che non avrei mai immaginato. E chissà, forse qualcosa cambierà.
Car*, io vi penserò e vi terrò nel cuore finché vivo.
Sono sicuro che arriveranno giorni belli, anche più belli di prima. Avrete molte occasioni per sfruttare tutti i contatti di Grindr, forse d’estate.
Con amore dalla Polonia,
La vostra Principessa polacca

1 maggio

insieme nella lotta al covid-19

#ilmiolavoro è necessario perché io sono necessari*, sempre. #ilmiolavoroènecessario perché senza non posso vivere.

Il 1° Maggio 2020 è di tutt*, e di tutta la comunità LGBTI+, noi panettieri, sex worker, medici, e magazzinieri…tutt* nessun* esclus*! Comunità è esserci anche oggi per chi ha bisogno di aiuto, perché sol* non possiamo né vogliamo stare.

testimonianze

STORIE DA QUARANTENA

Mi chiamo Sky, ho 21 anni, frequento Scienze della formazione primaria a Milano, sono una persona non binaria e attualmente impegnat* in una relazione con una persona del mio stesso sesso biologico. Mi sono trasferit* a Pavia l’anno scorso per essere più vicin* all’università e da allora vivo qui.

Quando è iniziata la quarantena sono rimast* bloccat* in questa città che amo, ma che mi distanzia notevolmente dal mio paesino natale della provincia di Bergamo. Non avendo ancora fatto coming out con mia madre – che ha palesi tendenze omotransfobiche – inizialmente mi sono sentit* sollevat*: in un’Italia ormai diventata zona rossa, ho potuto infatti rimanere qui con l* mi* partner, con cui attualmente convivo.
Purtroppo, però, qualche settimana fa mia madre mi ha chiamat*, dicendomi di essere stata contagiata dal COVID-19. È stato un momento di panico e di rimorso: la mia decisione di restare a Pavia per poter vivere in un ambiente accettante mi si era improvvisamente ritorta contro, dato che un mio genitore si trovava in condizioni di malattia ed io ero impossibilitat* ad andare a trovarlo; mi sono sentit* una persona profondamente egoista.
Per l’ennesima volta ho avuto la riprova che doversi nascondere per il proprio orientamento sessuale e/o per la propria identità di genere causa sofferenze sia al dirett* interessat* sia a chi l* circonda.
Aver fatto la scelta di non tornare a casa mi ha inoltre portat* ad un coming out forzato con uno dei miei coinquilini, dato che non sopportavo più la sensazione di sentirmi chiamare con il mio nome di battesimo. Anche con lui avevo deciso di tenere celata questa informazione per paura di una sua reazione negativa ma, fortunatamente e contro ogni mio preavviso, si è mostrato comprensivo e curioso.
Nonostante questa situazione di angoscia e disagio, non è mancato il sostegno della mia comunità! Coming-Aut LGBTI+ Comminity Center ha continuato ad esserci per me e molti altr* in via telematica: con i gruppi Ama, i gruppi di lavoro e le esilaranti dirette di Carla Stracci, la mia quarantena diventa ogni giorno un po’ meno dura.

“Una persona non binaria (o non-binary) è un individuo la cui identità di genere non è fissa: può quindi non riconoscersi in nessuno dei due generi uomo/donna, spaziare dall’uno all’altro, sentirli entrambi come propri o altro.”

testimonianze

STORIE DA QUARANTENA

Tra chi si tiene occupat* durante la quarantena cucinando, chi coltivando le proprie passioni c’è Lorenzo che ha deciso di spendere il suo tempo come volontario temporaneo della Croce Rossa.

L’abbiamo trovato tra un turno e l’altro e abbiamo deciso di intervistarlo per voi.

Ciao Lorenzo, sappiamo che sei entrato da poco in Croce Rossa. Ti va di raccontarci perchè?

Ciao, si certo! Ho un paio di amici che sono attivi come volontari ordinari in Croce Rossa, tramite loro ho scoperto che erano stati emessi dei bandi per la selezione di volontari temporanei, mi sono buttato subito. Ero già incuriosito dal loro impegno e quindi ho approfittato dell’occasione, rendendomi utile per la mia città.

Quali sono le attività e le mansioni che vengono richieste?

In realtà sono molte le attività che svolgiamo ad esempio la rilevazione della temperatura corporea agli ingressi dell’ospedale e abbiamo anche un servizio attivo per la spesa rivolto agli anziani, le persone risultate positive al Covid-19 o chi non può o vuole uscire. Ovviamente siamo anche responsabili di sanificare e tenere in ordine tutti i materiali con i quali entriamo in contatto. Per chi avesse bisogno è stato attivato un numero verde.

E come vi suddividete il lavoro?

Ci organizziamo tra di noi, dando le disponibilità sia per le attività sia per i giorni. Non abbiamo orari fissi, capitano giornate più lunghe e piene e giornate più tranquille. A volte la sveglia suona molto presto ma lo faccio molto volentieri!

Questa esperienza ti ha aiutato a sviluppare una nuova consapevolezza?

Si, è vero, la situazione non è proprio leggera però avendo mansioni estremamente limitate non ho vissuto la realtà che invece vive il personale medico sanitario che ogni giorno lotta in prima linea contro il virus. Fortunatamente ho trovato altri volontari con cui si è creato un bel rapporto, si respira un clima sereno nonostante tutto. Certamente è un’esperienza che mi ha insegnato ad essere sempre più responsabile della mia salute e di quella di chi mi circonda.

incisi

pensieri Dalla QUARANTENA

La scia dei nostri colori, quelli dell’arcobaleno, ci ricorda che non dobbiamo smettere di credere in noi stessi e nella nostra Associazione, soprattutto in un momento di difficoltà come questo. Nato dall’esigenza di affetto e di sentirci parte della Comunità, ecco il progetto “Non restare chiuso qui, pensiero”.

In questo periodo di quarantena noi di Svelate! abbiamo chiesto a tutt* di condividere messaggi di amore e di speranza, che abbiamo deciso di rendere pubblici su Instagram. Il modo migliore per trasmettere le nostre emozioni e i nostri sentimenti è attraverso il segno indelebile che possiamo lasciare sui social: per non dimenticare, anzi per ricordare sempre a noi stess* che non siamo sol*.

Ci siamo da quindici anni e ci saremo per sempre: le vostre parole lo dimostrano.

Comunità è esserci per chi ha bisogno di aiuto, è una Famiglia che aspetta solo di abbracciare e di essere abbracciata, che ora ce la sta mettendo tutta per trasmettere un po’ di calore umano a chi ne ha bisogno.

Riprendiamo a colorare il nostro cielo, ora più che mai, cosicché tutti possano vederlo!

APPUNTAMENTI

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Le dirette continuano tutti i MARTEDÌ, GIOVEDÌ e DOMENICA alle 21.15 su Instagram e Facebook

Anche i nostri gruppi non si fermano mai!


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Coming-Aut – LGBTI+ Community Center

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