«Mi chiamo Viola, sono una ragazza transessuale. Quest’anno ho compiuto 18 anni e ho iniziato la transizione. La mia famiglia è ancora un po’ angosciata e incredula, soltanto mia nonna ha capito subito, mi appoggia senza riserve. Le voglio tanto bene. So che il percorso sarà pieno di ostacoli, perché tutto è nuovo e complicato, i medici, gli avvocati, la burocrazia; e poi perché mi sto rendendo conto che essere quello che si è può diventare un lusso, e io non sono certo ricca. So che poi ci sarà la discriminazione feroce nel mondo del lavoro, il coming-out forzato quando andrò a votare, e persino agli esami universitari! Ora però so che in molte università il movimento LGBTI ha ottenuto l’istituzione del doppio libretto, e questo mi rassicura. La settimana scorsa Cecilia mi ha raccontato la storia di Marcella di Folco, del MIT, degli albori del Movimento trans, delle incredibili battaglie degli anni Ottanta, e da allora sono più forte, nessuno può più fermarmi».
«Nel 1972 avevo vent’anni e molta paura. Sapevo da tempo di essere gay ma non l’avevo detto a nessuno. Gli unici a saperlo erano i ragazzi che incontravo nei cinema, nelle ultime file della galleria, al buio: erano incontri veloci, in cui sfogavamo il nostro reciproco desiderio, ma che qualche volta, per buona sorte, diventavano storie d’amore clandestine. Stefano è stato uno dei miei amori clandestini. Il 21 marzo di quell’anno mi ha detto: “Carlo, ci vieni con me a Sanremo il 5 aprile? andiamo a fare casino a un congresso di sessuologi bigotti!” Non ci sono andato perché avevo paura di mostrare la mia faccia, di essere riconosciuto. Dopo vent’anni ho capito le parole che Angelo Pezzana aveva scritto sulla rivista del Fuori!: “Il grande risveglio degli omosessuali è cominciato. È toccato a tanti prima di noi, neri, ebrei, ora tocca a noi. E il risveglio sarà immediato, contagioso, bellissimo!”. Mi sono perso l’inizio della rivoluzione, ma è stata quella rivoluzione a salvarmi».
«Ludovica un giorno mi ha detto: “Bem, non ti credere, qui, un tempo, gli omosessuali venivano deportati nei lager o mandati al confino”. Allora io ho pensato al mio paese, al mio viaggio pieno di speranza, alla morte che ho rischiato più volte, in mezzo alla sabbia o in mezzo al mare; ai miei vent’anni, sapendo che ho rischiato di perderli perché volevo essere libero. Ora che posso essere me stesso, sono pronto a combattere da lontano perché anche in Ghana le cose cambino. Per cambiare le cose bisogna credere alla felicità; ed è qui che io ho cominciato a crederci».
«È stato nel 2016, quando avevo 21 anni: il test ha parlato chiaro. Positivo. La terapia più efficace, oltre a quella prescritta dai medici, è stata poter confrontarmi con associazioni di persone LGBTI sieropositive. Mi sono sentito meno solo e ho trovato la forza di fare coming out anche sul mio stato sierologico. Non è stato facile ma oggi la mia viremia è zero, sono fidanzato con Alessandro e tra pochi mesi mi laureo. Poi faremo un viaggio e stiamo progettando di andare a vivere insieme. Ai pride di quest’anno sfilerò indossando una maglietta con scritto “positivo ma non infettivo”, con tutto il mio orgoglio».
«Sono Paola, ho 17 anni, sono lesbica. Due anni fa, era il 2016 e avevo 15 anni, ho fatto coming-out con i miei genitori: mia mamma l’ha presa bene, mio papà no. Per fortuna mio fratello lo provoca spesso per farlo ragionare. Non essere accettata da mio padre per quello che sono è l’umiliazione della mia vita. La battaglia più bella che ho combattuto è stata quella per il matrimonio egualitario: ricordo l’emozione di essere stata a testa alta in una delle cento piazze di “Svegliati Italia!”, ricordo la rabbia quando ho visto il parlamento del mio Paese votare una legge segregazionista, offensiva verso le famiglie omoaffettive e omogenitoriali. Una volgare concessione del potere, anziché una orgogliosa vittoria di tutta la società. Ma ricordo anche la gioia di Giulia e Martina, che si sono unite civilmente lo scorso settembre».
Le voci di Paola, di Carlo, di Viola, di Bem, di Luca sono alcune delle migliaia di voci, di facce, di corpi che hanno costruito la storia travagliata e meravigliosa del movimento e dell’identità LGBTI. Quarant’anni di vite, di battaglia, di amore che il Pavia Pride 2018 vuole celebrare. La nostra marcia di orgoglio e libertà vuole essere una riflessione, un dialogo tra le generazioni di persone LGBTI: le nostre storie e il nostro dolore, il nostro entusiasmo e la nostra lotta contro la violenza di chi ci vuole malati, sbagliate, pericolose o contagiosi. Esperienze diverse, a tratti e in apparenza distanti, ma tenute insieme dalla nostra voglia di essere quello che siamo, costi quel costi.
Il racconto e la riflessione sulle nostre generazioni d’amore è partito dalle ragazze e dai ragazzi più giovani, che si affacciamo oggi alla scoperta di sé e al desiderio di combattere per rivendicare la propria identità: giovani e giovanissimi, che hanno vissuto in prima persona le battaglie più recenti – dal matrimonio egualitario alla legge contro l’omotransfobia, alla battaglia di informazione nelle scuole, per combattere il bullismo omotransfobico, fino alla resistenza contro i seminatori d’odio del movimento no-gender – giovani lesbiche, gay, bisessuali, intersessuali, non binari, giovani che accolgono con coraggio la loro transessualità e cominciano il viaggio per arrivare a se stessi e a se stesse. E poi a ritroso negli anni, dalla lotta per la visibilità alla battaglia libertaria che sono ancora in corso e che hanno cercato e cercano di emancipare tutta la società dal maschilismo e dal sessismo, dal binarismo eteronormativo che ha negato la nostra stessa dignità e che sta alla base dell’odio omotransfobico. E ancora: gli anni atroci dell’AIDS, l’identificazione dell’omosessuale con l’untore, la nostra storia della colonna infame. E ancora a ritroso, fino alle trans bolognesi che, insieme alle prostitute, sono uscite dall’ombra colorando gli anni Ottanta di provocazione e fame di diritti, fino ai campeggi libertari, in cui i nostri corpi nudi si prendevano gioco di una società sessuofoba e bigotta, e ancora indietro, fino a quell’indimenticabile 5 aprile, a Sanremo, quando i pionieri, memori dei moti di Stonewall, ci hanno aperto la strada gridando al mondo: “Siamo qui, esistiamo, e da adesso in avanti bisognerà fare i conti anche con noi, la rivoluzione è cominciata!”.
Il Pavia Pride 2018 vuole rappresentarci tutte e tutti, mettendo al centro, come sempre, le nostre storie. Ci saremo, allacciati al filo di quello che siamo stati, per costruire insieme quello che saremo.
Per tutti noi, 9 giugno 2018, Pavia Pride!